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25 luglio 1956: Andrea Doria addio

di Marco Innocenti

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24 luglio 2009
(Olycom)

La notte del 25 luglio 1956 l'Andrea Doria fila veloce verso New York in una cortina di nebbia. L'orchestra suona l'ennesima "Arrivederci Roma", in prima classe gli americani giocano a bridge e bevono champagne, in terza gli emigranti italiani smazzano le carte e stappano Chianti. Improvviso, al largo di Nantucket, un tonfo sordo, "come un gran colpo di piatti" testimonierà un orchestrale, poi uno scoppio lacerante. Sono le 23,11. La prua rompighiaccio dello svedese Stockholm sperona il transatlantico italiano, sfondando la fiancata destra: uno squarcio di 15 metri dal quale irrompono 500 tonnellate di oceano. I morti sulla nave sono 46, l'emozione in Italia, enfatizzata dalla neonata Tv, è profonda. Dopo un'agonia di 11 ore l'orgoglio della Marina italiana cola a picco. Sono le 10,09. Scrive Dino Buzzati: "Un pezzo d'Italia se ne è andato, l'Italia migliore, la più seria, geniale, solida, onesta, tenace, operosa, intelligente".

Il comandante Calamai
"Quando muore una nave - dice un anziano comandante - anche l'Italia muore un po'". Parole autentiche, ma il comandante Pieo Calamai sarà coperto di accuse ingiuste e nessuno lo difenderà. Si dirà tutto il male di lui e del suo equipaggio e si scoprirà poi che era tutto falso. Troppo tardi per ridare senso alla vita di un uomo che morirà angosciato. "I passeggeri sono salvi?" saranno le sue estreme, disperate parole, nel '72, nel momento dell'ultimo respiro. Solo a cinquant'anni dalla tragedia si scoprirà che il comandante e i suoi uomini erano stati sacrificati alla ragione di stato e si renderà pubblica una verità rimasta a lungo nascosta. Fu il Governo italiano, a nome dell'Iri e per ragioni di business, a insabbiare l'inchiesta della Marina che scagionava Calamai, uomo dal tragico destino, tradito dal suo Paese, che non avrà più un comando e sarà dimenticato.

La nave chiamata desiderio
L'Andrea Doria era un sogno illuminato, una divinità, un incantamento. Un'emozione. Il capolavoro che fece dire alla critica d'arte americana Aline Bernstein: "Questa cosa gli italiani la fanno meglio". E la "cosa" non era l'amore, ma la progettazione navale. Raffinata città sull'acqua ricca di tecnologia, arte, design, professionalità e buon gusto, fu il simbolo della rinascita italiana, l'"ambasciatore" di un Paese in ripresa di cui portò i colori sui mari, dando un messaggio di forza e di speranza. Avvenimenti, moda. costume, personaggi, abitudini, vezzi degli anni Cinquanta fecero da sfondo al mondo incantato di quel "Grand Hotel Oceano" che andava e veniva fra Italia e Stati Uniti, contribuendo a tessera la trama di un nuovo tessuto politico, economico e sociale: quello dell'anticamera del boom e dei magnifici anni Sessanta che battevano alla porta. Gli anni felici che l'Andrea Doria, simbolo della rinascita, del gusto e della mondanità, non avrebbe visto, colpita al cuore da un involontario killer svedese.

24 luglio 2009
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